Un viaggio nel mondo

Giorgio Monti, il primo giorno a Dakar

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Giorgio Monti a Dakar
L’impatto dell’Africa: 
Giorgio Monti ci racconta il suo primo giorno a Dakar, dove quest’estate ha insegnato inglese in una scuola.

11/07/14
L’aeroporto di Dakar ricopre un’immensa parte della penisola dove si trova la città, nonostante abbia soltanto due piste. Appena si mette il naso fuori dall’aereo si viene letteralmente avvolti dall’ umidità: nonostante sia mezzanotte sembra che ti abbiano spalmato del miele sul corpo, che diventa immediatamente appiccicaticcio e inizia ad attrarre insetti e moscerini di ogni genere. Il primo impatto con la città e i suoi abitanti lo si ha già appena fuori la piccola hall arrivi: centinaia di persone provano a venderti di tutto, li separa da te soltanto una lunghissima fila di transenne, la scena sembra di quelle che si vedono ai festival cinematografici, ma al posto delle star ci sono gli stranieri, i bianchi, e anziché chiedere autografi ti offrono qualunque servizio pur di spillarti qualche soldo. Ad attendermi là dovrebbe esserci Cheikh, ma mi è impossibile riconoscerlo tra quella folla, dato che non l’ho mai visto di persona se non su Skype. Ed ecco il primo errore del mio viaggio. Nemmeno dieci minuti che sono in terra senegalese e già mi fanno il pacco. Provo a chiamare Cheikh con la mia sim Italiana, ma nulla di fatto. Ed ecco che un gentile signore si propone di aiutarmi. Parla inglese, sembra lavorare per qualche agenzia di viaggi o per l’aeroporto, dato che tra me e lui non c’è alcuna transenna. Si propone di chiamare lui Cheikh, dalla sua sim senegalese. Ingenuamente accetto. Funziona, Cheikh risponde, si fa largo tra la folla dietro le transenne e mi fa un segnale, lo riconosco. Ringrazio il gentile signore, che anziché rispondere, mi fa il broncio e mi chiede soldi con aria minacciosa. Problema: io non ho CFA (la moneta locale) ma solo euro. Mi propone di cambiarli ad un cambio clamorosamente pacco che si era appena inventato. Per fortuna avevo controllato il tasso di cambio, non poteva fregarmi. E invece sì, finisce che gli lascio 5 euro. 5 euro per una chiamata. Sapevo di non essere un bravo negoziatore, ma devo imparare, altrimenti finisco i soldi in due settimane. Con Cheikh ci sono altri 4 ragazzi, tutti incredibilmente simpatici e gentili. Uno di loro è Papis, il ragazzo che mi ospita a casa e con cui condividerò la camera per un mese e mezzo. Dopo aver scoperto con estrema felicità che anche i senegalesi perdono un sacco di tempo a negoziare (uno dei ragazzi ha passato circa mezz’ora a negoziare con un tassista), arriviamo a casa. È l’una ma sono tutti svegli, è periodo di ramadan, si dorme più che si può durante la mattina e le notti devono essere le più lunghe possibili. A casa ci sono due donne, due bambini e un neonato. In totale con me e Papis siamo 7. I bambini dormono in un salotto centrale su un materasso matrimoniale poggiato per terra, le due donne dormono assieme con il neonato mentre io e Papis dormiamo in un’altra stanza da letto. Ovviamente non c’è nemmeno un condizionatore, fa un caldo irreale e l’umidità a stento permette di respirare, ma loro sembrano non accorgersene. Per fortuna in camera c’è un ventilatore, unica ancora di salvezza per la notte. Ah quasi dimenticavo, nessuno parla inglese. Papis ci prova ma difficilmente ci riesce. Devo parlare francese. Io che parlo francese. Saranno sei settimane intense. Vado subito a letto e data la stanchezza del viaggio, crollo in un sonno profondo senza nemmeno accorgermi che non ci sono cuscini. Al mio risveglio comincio a inquadrare ancora meglio la situazione in cui mi trovo. Prima di tutto a svegliarmi sono stati un gallo e una capra coi loro versi. Mi sarà capitato due o tre volte in tutta la mia vita e non avevo più di 10 anni. Dopodiché Chiedo a Papis come posso farmi una doccia, mi accompagna in bagno e indica il mio secchio. Si ho capito bene:acqua razionata. Ci sono diversi secchi nel bagno ognuno ha il suo per l’intera giornata. Saranno 12 litri d’acqua, forse 15. C’est pas un problem. Faccio la doccia più rapida della mia vita e appena uscito dal bagno Papis ordina qualcosa al ragazzino che vive nella casa (penso sia il nipote, ancora non ho capito benissimo). Tempo cinque minuti il ragazzino torna con del pane e del formaggio. Nel frattempo Papis mi ha preparato il caffè. Così, appena finisco di cambiarmi dopo la doccia, mi ritrovo sul tavolo un vassoio con la colazione servita. Non so cosa fare. Sono il solo a mangiare a causa del ramadan, e mi sento uno stronzo. Metto da parte la soggezione e mangio, provo a lasciare sul vassoio parte della pagnotta, Papis mi fulmina con lo sguardo. Finito di mangiare vado sul piccolo terrazzino che dà sulla strada, lo spettacolo è di quelli che mi ero solo immaginato ogni tanto, senza nemmeno crederci troppo seriamente. Bambini che giocano a dama all’ombra di una tenda, donne che cucinano o vendono frutta (soprattutto enormi manghi) sul marciapiede, altre che portano secchi sulla testa, tutto ciò mentre passa qualche macchina ma soprattutto asini, cavalli, capre. La strada non è asfaltata, e questo seppur non frenetico ma costante movimento rende l’aria carica di polvere e l’umidità ancora più fastidiosa. A casa intanto è arrivato Gaudwo (in realtà non ho capito minimamente come si scriva, così ho fatto un incrocio tra Gaucho e Kwadwo) con cui dovrò andare al meeting di presentazione all’università di Dakar. Gaudwo è un ragazzo alto, mite e molto simpatico. Si intende tantissimo di calcio (tifa Milan) e mi accompagna per la mia prima vera esperienza mistica su questo continente. L’ Università è lontana, bisogna prendere l’autobus. Il traffico di Dakar è qualcosa di indescrivibile. Palermo viene messa al quinto posto tra le città più trafficate al mondo, ma qui allora siamo proprio su un altro pianeta. Il traffico è composto per la maggior parte di taxi che guidano come se non ci fosse un domani, autobus e carrozze di fortuna. Per arrivare da casa all’Università ci abbiamo messo 45 minuti. Riprenderemo l’autobus anche al pomeriggio per tornare, stavolta partendo dal centro storico: 1 ora e mezza. La città è enorme, è vero, ma la distanza da casa all’università è di poco più di 7 km. Per il centro storico 12. Il tragitto è un viaggio al di fuori della realtà: tutti ammassati come sardine dentro  questo minibus della Tata, si passa in mezzo agli scenari più improbabili, dal classico campo sterrato con i bambini che giocano a calcio, ai mercati di animali in pieno centro cittadino. Arrivati all’università tutto sembra diventare un po’ più normale. Il campus è molto grande e i ragazzi sono molto piacevoli e incuriositi dall’unico europeo cominciano a tempestarmi di domande. Non sono in grado di rispondere a tutti in francese così quelli che parlicchiano inglese fanno da interpreti. Dopo aver chiacchierato del più e del meno e aver conosciuto i coordinatori dei progetti, Gaudwo mi porta a mangiare (lui ovviamente sta lì a guardare) e successivamente mi fa vedere il dormitorio dell’università. A questo punto quasi non credo ai miei occhi. Un edificio immenso, con piccole stanzette che sembrano più celle che stanze di un dormitorio per studenti. Stracolme di roba di qualsiasi tipo: vestiti, fogli sparsi ovunque, amici ammassati tutti insieme per guardare un video al computer o per ascoltare musica. Sull’enorme terrazzo all’ombra i ragazzi dormono al riparo dall’afa delle stanze, c’è anche chi prega su dei tappetini di fortuna: è venerdì, il giorno sacro per i musulmani. Dopo questo breve tour all’interno del campus universitario, chiedo a Gaudwo di accompagnarmi in centro città, la parte più ricca, dove anziché capre e ambulanti ci sono banche, alberghi di lusso, spiagge cristalline e ambasciate. Per arrivarci prendiamo un altro bus, diverso da quello precedente. Costa meno e non è servito dal comune. In città ce ne sono tantissimi, decorati con fantasie di tutti i tipi rendono un viaggio altrimenti soltanto scomodo, una vera e propria esperienza Dakarese. Arrivati in centro sembra di essere in una città diversa: viali alberati, belle macchine, si intravede perfino qualche turista o funzionario europeo. Le ville coloniali francesi sono circondate da rigogliosi giardini, e tutto è molto meno frenetico. Dopo una passeggiata sul mare, distrutti dal caldo, propongo di tornare verso casa,inconsapevole dell’ora e mezza di bus che mi aspetta.

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