Esperienza Erasmus

Erasmus, Alfredo Mineo a Parigi

Erasmus, Alfredo Mineo a Parigi

Erasmus, Alfredo Mineo a ParigiIDENTIKIT
Nome: Alfredo
Cognome: Mineo
Età: 21
Città “fuori-sede”erasmus :Parigi
Da quanto tempo sei fuori-sede erasmus? Dal 01/09/2013 al 24/12/2013
Sei partito da solo o eri con qualche “compagno di viaggio”?
Inizialmente solo, poi ho incontrato altri italiani e stranieri


Non so se conoscete come funziona nella mia università, la Bocconi di Milano; proverò a descrivere questo fantastico mondo che è la selezione all’Erasmus in Bocconi. Sostanzialmente da noi chiunque può fare un’esperienza all’estero, poiché esistono migliaia di mete disponibili, da Carrapipi a New York, da Parigi a Seoul. Particolare simpatico, da noi siccome si sentono fighi (a senso loro aggiungerei) il viaggio non è chiamato Erasmus come in tutto il mondo, ma “Exchange Program”, e se per puro caso ti lasci scappare con i tuoi colleghi d’università (anche in questo caso c’è la moda bocconiana di chiamarsi “compagni d’università” perché fa più “team working” e tutte le cazzate morfologiche simili) che stai per partire in “Erasmus” vieni preso per alieno e ti guardano male. L’unico problema, se vogliamo chiamarlo così, della selezione è quello di possedere un certificato di lingua inglese “buono” (Trinity è paragonabile ad una bestemmia o alla peggiore offesa a madri e parenti vari); cosa che io non avevo. D’altro canto, la mia esperienza di corso bilingue al liceo Cannizzaro mi ha consentito di acquisire un ottimo certificato in Francese. Così invece che poter scegliere tra le infinite città asiatiche, oceaniche, americane messemi a disposizione, mi sono ritrovato a meditare davanti ad una pagina con su scritte giusto 8 mete, tra le quali Belgio, Svizzera, Canada, Francia. Tutti paesi evidentemente francofoni.

Voi dite “Parigi, ti andò di lusso e ti lamenti pure? Pensa se capitavi in Svizzera: minchia presura!?”. In realtà due “mezzi” motivi li avrei per incazzarmi. Primo, non sono rientrato per soli 0,5 punti a Montreal, e l’esperienza oltreoceano mi affascinava parecchio; secondo, in realtà non era Parigi, la spacciavano per tale (più avanti entrerò più in dettaglio su questo tema).
A parte tutto, Parigi era la mia seconda scelta e mi ritengo felice e fortunato di essere stato selezionato per questa città (certo Montreal, a 4 ore di macchina da New York, manco era malaccio!).
Se da un lato la burocrazia bocconiana è complessa e articolata (della serie esiste un ufficio per ogni cosa, anche per il ricambio cessi), dall’altro questo vuol dire qualità ed efficienza del servizio. Cosa che è riscontrabile quando ci si accinge a sbrigare le pratiche per contattare le università straniere che vi ospitano. Dal momento in cui scopri di essere stato preso in Exchange, l’università ospite, con un po’ di ritardo naturalmente, ti contatta mandandoti info relative al funzionamento e dell’università, tra cui iscrizione, corsi, e (elemento centrale) alloggio. Qui entriamo in un tema caldo del mio Erasmus. Dicevo prima che in realtà non ero proprio a Parigi: quest’ultima fa parte in realtà di un ricco complesso di città, collegate (magnificamente) da reti ferroviarie, tramviarie e autostradali, in una struttura a forma concentrica formata da 5 cerchi. Parigi sta nel primo, il cerchio più interno, e via via le altre cittadine rientrano negli altri gironi, un po’ come quelli danteschi. Il mio girone non era quello degli ignavi o dei golosi: semplicemente quello degli “sfigati”. La mia università stava per l’appunto nell’ultimo cerchio, il quinto, nella famosa (?!?) città di CergyPontoise (“e che è?” dite voi. Esattamente la mia stessa reazione), raggiungibile con il treno RER A da Parigi centro in un’ora circa. Questa considerazione è di fondamentale rilevanza: un conto è vivere vicino l’università, scendere dal dormitorio ancora in hangover causa sbronza Erasmus Party (premetto, ce n’era uno ogni sera, e anche al pomeriggio in uni), e raggiungere, sbattendo tra un palo e un altro, le aule dell’università. Un altro è spostarsi ogni giorno da Parigi, facendosi due ore di viaggio A/R per poi tornare a casa e non godersi la vita con gli amici internazionali Erasmus, socializzare, comunicare e flirtare. Ovviamente stare a Parigi ti permette di viverti la vita “bohemien de Paris”, aperitivi a Saint-Germain, Montmartre e chi più ne ha più ne metta.
Personalmente ho deciso di vivere a Cergy, per i motivi presentati in precedenza, senza considerare che pur avendo lezione ogni giorno (essendo ancora giovani) scendere a Parigi la sera era diventata ormai parte della mia routine. Anche perché voi non avete idea di quanto cari, seppur efficienti, sono i trasporti francesi. A Milano l’abbonamento metro+tram+bus mensile costa per gli studenti 22€, a Parigi funziona invece con i 5 famosi cerchi, detti anche “zone”, e quindi l’abbonamento “zone1+2” costa 57 euro, mentre se voglio arrivare da Parigi a Cergy, “zone 1+2+3+4+5” sono ben 150€/mese (CHIDDICI?). In più metteteci che in media un appartamentino anche di piccole dimensioni in zone non troppo lussuose e centrali costa circa 800€/mese cadauno, se si vive in due o più persone, per un totale di circa 1000€ al mese. Cergy invece molto più economica: 57€ di abbonamento, “zone5+4”, più circa 550€ di alloggio in una delle quattro residenze messe a disposizione dall’università. Insomma, male, ma non malissimo. Le quattro residenze si trovavano tutte attorno all’università, chi più chi meno vicino, ma la variabile chiave che ti portava a scegliere una delle quattro, oltre alla disponibilità di posti e ai prezzi, era la vita all’interno di esse, la presenza o meno di palestre, la comodità delle stanze. Io ho scelto “LesLinandes”, detta anche la colonia dei Cinesi a Parigi, la China Town di Cergy. Ragazzi, solo grazie ai miei nervi saldi e al mio entusiasmo di essere in Erasmus, non ho cominciato ad ammazzarli uno per uno. Ecco, ho fatto un commento razzista. Intendete bene, io non lo sono per niente, anzi io sono promotore di pace, amicizia, amore, sesso tra etnie e razze diverse. Voi sareste d’accordo con me però se per esempio non puoi organizzare una festa in residenza perché loro prenotano perennemente la sala relax per studiare, oppure chiamano la security per il casino che fate in camera, oppure perché sono solamente troppi. Non chiedo tanto, qualche olandesina/americana in più non era neanche brutto eh?! Ecco perché io nella mia residenza non c’ero quasi mai se non per dormire e fare colazione al mattino. La mia era una stanza All Inclusive: letto, scrivania, tavolo, cabina, armadio, cucina in 15m2 + bagno con doccia-vasca, cesso, rigorosamente senza bidet (in Francia, sapete, funziona così). Ambientino che non vi dico, design d’altri tempi (nel senso anni 80’ con mobili in legno vomitevoli), frigorifero grandezza hotel, vietato fumare sia in camera che in sala relax. E infine la chicca, la palestra: un solo attrezzo tutto fare: per lo meno mettevo a lavoro l’ingegno, dovendo trovare esercizi al dir poco circensi pur di fare un po’ di muscoli.
Questione sovvenzioni: esiste semplicemente un istituto, CAF, responsabile delle distribuzioni sovvenzioni a studenti e famiglie. La nostra quota studenti era circa 230 euro mese.

L’università in cui ero, ESSEC Business School, è considerata la seconda in Francia per corsi di Business Administration, seconda solo alla blasonata HEC Paris. Vi devo dire la verità, la fama di cui gode l’università non rispecchia la realtà , o per lo meno per quanto riguarda il loro apparato organizzativo-amministrativo: lenti e incompetenti nell’aiutarti a sbrigare le pratiche, a tratti maleducati. Per quanto riguarda la formazione, il metodo francese è più incentrato sul lavoro di gruppo, costante, giornaliero, duro, stressante, ma pur sempre lavoro di gruppo. No libri, solo slides. Classi di 20-40 persone max. professori preparati seppur poco autoritari (i francesi scherzavano tranquillamente col prof, sfottendolo, mandandolo a quel paese, fottendosene della lezione ma di maniera proprio fastidiosa). Esami tosti, mai fatti così difficili in vita mia, anche perché il corso non risultava complicato e il materialo didattico era scarso. Per quanto riguarda tutto il resto, come direbbero i bauscia milanesi, davvero al top. Iniziamo dallo sport: Rugby (primo sport in Francia), calcio a 11 e a 5, Pallamano, Nuoto, Running, Canoa, Danza e tanto altro. Io ho cominciato col Rugby, prima giornata di allenamento due mete e un ematoma che prendeva tutta la mia spalla per un placcaggio da un dolcissimo bestione due metri per due. Abbandonato. Poi calcio a 11: io non sono fortissimo tecnicamente (per chi mi conosce lo sa perfettamente) ma la resistenza e la cattiveria non mi mancano; dopo un po’ di allenamenti era migliorato parecchio, poi infortunio al piede per doppio pestone di quelli che non ti scordi mai. Abbandonato. Ma per dirla tutta, il fatto che facessi Sport era solo un modo per fare amicizia con i Francesi, una categoria di persone qualificata da molti per la loro puzza sotto al naso, e il loro essere saccenti. Nullo di più vero ahimè. Io non ero partito con questo pregiudizio, ma in effetti è molto difficile socializzare con loro. Io per fortuna, visto che me la cavo col francese, un po’ di uscite e risate con loro me ne sono fatti, e sono senza dubbio simpatici quando lo vogliono. Per gli altri che per caso sbagliavano una parola, detta magari con l’accento del paese di provenienza, diventava ingestibile la situazione: cominciavano a parlare in inglese! In inglese! Escludendoti del tutto dal loro gruppo. Abbandonati. Ho preferito socializzare solamente con gli internationalstudents, fantastici. L’internazionalità è sicuramente il punto di forza di questa università: 250 studenti Erasmus da i punti più disparati della Terra. Brasile, Argentina, US, Australia, India, Cina, Giappone, Russia, europei e africani a gogò. È questo era sicuramente molto stimolantee formativo per me. Poi a parte la mensa multietnica e l’acqua gratis per tutti tramite distributori push-button, la vera chicca era il pub dentro l’università. Da noi in Bocconi per lo meno, vendere alcol è assolutamente illegale. Immaginatevi ora un pub in stile irlandese, con tanto di pista da ballo e terrazzino esterno dove poter socializzare e fumare, 0,5l di birra a 2€, e il gioco è fatto. Aperto dall’una di pranzo, con i suoi panini a 3 euro home-made, fino alle 2 di notte con i baristi, rigorosamente studenti, sopra il bancone a offrire cicchetti e birra di tutti i tipi a chiunque. Ecco, forse solo in quel caso i cinesi erano particolarmente simpatici: quando sono ubriachi non fanno altro che ridere e farsi prendere a scalpellotti nel cozzo senza reagire minimamente. Bellissimo!

Scegliere Parigi, al di là del mio broncio dovuto alla mancata Montreal, è stato sicuramente una manna dal cielo. Io ero stato in questa città 5-6 volte, ma come spesso accade a chi viaggia nei week-end o per brevi periodi, non riesci a goderti a pieno la vita del paese in cui soggiorni; viverla per 4 mesi circa invece ti permette di apprezzare le piccolezze della vita quotidiana, come i mercati rionali ortofrutticoli o dell’usato, e le grandezze stilistiche e architettoniche(che poi a Parigi sono imbarazzanti per la loro bellezza e immortalità): io porto sempre nel cuore e nella mente l’immagine dei giardini di Tuilleries vicino il Louvre, illuminati dalla luce soffusa filtrata dal grigio acceso del tipico cielo parigino, con la gente che cammina: sentivo di essermi catapultato nel periodo di fine settecentesco, quello dell’Impressionismo di Monet & Co per intenderci. Basta solo questa immagine, questo ricordo, che subito scatta il sorriso. Fantastico! E poi l’atmosfera che si respira camminando per Le Marais, gustando la più buona tartreaucitron della tua vita, in un caffè letterario dal nome “Le Loirdans lathéière”. Aperitivino a Montmartre con bicchiere di vino rosso con piattino di escargots. E potrei continuare. Insomma, anche una cazzatella come una passeggiata o una chiaccherata al parco, diventano esperienze indimenticabili a Parigi, tutte emozioni indescrivibili. Come sentirsi in un film veramente.

Come dicevo in precedenza, i trasporti a Parigi, pur essendo costosi, sono assolutamente efficienti. Molti parigini dicono che se vuoi girare la città non devi usare la cartina, bensì la mappa delle metro. Effettivamente ci sono una quindicina di metro, tutte collegate fra di loro, puntualità che spacca il secondo. Io in realtà stavo aCergy, e lì ci muovevamo con gli autobus per andare in giro, o (molto più spesso) a piedi. Ovviamente dovevamo pur andare a Parigi, almeno per il fine settimana. E proprio per il week-end tutto il discorso fatto in precedenza relativo alle zone del tuo abbonamento veniva meno, così anche chi aveva la carta “zone4+5” come noi studenti a Cergy poteva dal venerdì alla domenica circolare per tutta la Val d’Oise e quindi Parigi. Per arrivare lì usavamo la linea del treno RER A: posso affermare con certezza che le cose più divertenti che mi sono successe, hanno avuto luogo dentro le carrozze di questo treno. Avete idea di 40-50 ragazzi Erasmus, armati di Botellon (fatti rigorosamente dagli spagnoli) e musica (gli spagnoli anche qui mettevano il loro amato Reggaeton, piacevole si, ma un po’ tasciuliddo a tratti), che delirano come pazzi scatenati, cantando, bevendo e scherzando… fantastico davvero. Tutto questo accadeva nel week-end, perché appunto non dovevamo pagare nessun plus per arrivare a Parigi. E in mezzo alla settimana? Beh in mezzo alla settimana si andava lo stesso. Solo che come potete immaginare bisognava trovare un modo per superare i tornelli. In questo i francesi mi hanno stupito alquanto. Sarà che il 90% della gente a Cergy era nord-africana, poveri, anzi decisamente poveri, e quindi loro erano un po’ come noi, nel senso che voglia di fare un biglietto di 10 euro per andare a Parigi non ne avevamo. Cosa succedeva quindi? Sostanzialmente, una volta che avevi scrutato a destra e a sinistra l’assenza degli agenti di sicurezza (ed erano normalmente 4-5 a stazione, che non sono pochi) facevi la fila per il tornello, quello davanti (ovviamente doveva essere munito di ticket/abbonamento) ti teneva la porta davanti al tornello, che altrimenti una volta chiusa si sarebbe bloccata, e scavalcavi. Non mi è mai capitato che un francese non mi tenesse la porta, MAI. Io shockato. Così una volta entrato, ancora pieno di adrenalina per essere sfuggito ai controlli della sicurezza e scavalcato il tornello, ci si avviava in carrozza. Li incominciava l’altra fase di ansia perenne: i controllori. Per fortuna, quasi mai pervenuti (in quei pochi “quasi”, siamo scappati in stile usainboltmix Tyson per passare tra la gente). Una volta arrivato a Parigi, incominciava invece la fase più ostica: uscire sani e salvi. A Parigi l’unica fermata che non aveva controllori, almeno così ho scoperto, è Charles de Gaulle. Quando capitava di scendere a Chatelet, la più grande stazione metro d’Europa (gigantesca davvero), lì incominciava il cacazzo, perché i controllori erano con i fucili, armati (non è una metafora, dico vero). In linea di massima però il bilancio è stato positivo: facendosi un conto, non ho mai pagato 15 euro A/R per Parigi e lo facevo quasi ogni giorno. Mi hanno fermato una sola volta dei controllori in Borghese bastardissimi, che mi stavano portano alla centrale della Polizia, ma sciocchezze di poco conto. L’altra chicca invece era il trasporto notturno. Sostanzialmente i mezzi a Parigi, come tutte le grandi città, chiudono all’una di notte circa. Quindi se dovevamo fare serata a Parigi, come minchia tornavamo senza RER A? qui entrava in gioco il Noctilien, un’autobus che alle 5 del mattino si riempiva di gente che non vi dico: chi aveva sboccato, che si era pippato pure la senape in polvere, insomma una carrozza di deportazione, ammassati come mucche da macello. Carino! Altrimenti, soluzione più complicata ma più comoda, si aspettava la RER A delle 7 del mattino, la prima. Io ho fatto un Half and Half. In conclusione, a ora di mezzi Parigi è davvero incredibilmente soddisfacente.

il meteo in linea di massima è stato piuttosto stabile: sempre nuvoloso, con punte di soli caldissimi e pioggie non troppo torrenziali. Unica costante: vento da nord a 30 nodi minimo, e la notte con l’umidità che ti mangia le ossa, non è molto simpatico. Il tempo non ci fermava completamente. Facevamo quello che volevamo, quando, come e dove.
Parlaci della tua zona, specificando la presenza di supermercati, farmacie, lavanderia, palestra e la vicinanza dall’ università. Parlaci delle zone maggiormente universitarie (dove vivono più studenti; dove ci sono i locali frequentati nel week end)
Dal punto di vista dei servizi offerti da Cergy (parlare della grande Parigi, che ha davvero tutto, mi sembra superfluo), devo dire che a parte lo stile molto Borgo Vecchio dei locali agroalimentari, avevamo tutto. Il centro commerciale “lestroisfontaines” forniva dal parrucchiere al footloocker. Il supermercato era un’Auchan: enorme, c’era di tutto e di più, prezzi abbordabilissimi, specilamente la birra. Immaginatevi che una cassa di 40 bottiglie di birra Kronenbourg costava 15€ (facevamo la scorta) e il vino (e in Francia anche quello che costa 2€ è buonissimo) scorreva a fiumi. Nella cittadina di Cergy, a parte il pub universitario, non c’era molta vita notturna e i locali della zona erano molto costosi. Specialmente quelli vicino al porto erano proibitivi (un cocktail 10€!). Ecco perché le soluzioni erano o festini in residenza con l’alcol comprato all’Auchan e l’erba degli olandesi (…) o andare a Parigi. What else?

Il cibo non è mai stato un problema. Mensa universitaria, i locali etnici e non di Cergy, addiritura un sushi allyou can eat a 16€ a Parigi. Insomma no Problem. Poi io da italiano, ero considerato lo chef dagli internationlstudents, e quindi spesso cucinavo per loro (quasi sempre pasta). Ammetto che l’arma della cucina ha riscosso molto successo, specialmente tra le femminelle (l’invito a casa per una pasta italiana era diventato il format di abbordaggio perfetto per portarsele in stanza).

Cergy è una vallata, con tantissimo verde e parchi, in cui si trovano un centro commerciale, lestroisfontaines, tre università, un porto e le nostre residenze universitarie. Stop. Un po’ triste, insomma. Però come detto prima, a Cergy non stavamo mai! Giusto lo sbattimento dei mezzi, con l’ansia che i controllori ti incoccino.

Sicurezza. Considerata Cergy una delle città più pericolose del Nord della Francia, causa povertà e presenza di molte etnie. Particolare, i francesi sono piuttosto razzisti con i neri, e la tensione c’è, si palpa, cosa che mi dava un fastidio enorme, perché probabilmente i neri non avevano questi pregiudizi sui bianchi, e anzi parlando con loro riscontravo un’empatia scioccante. A Cergy, per un periodo di 1 mese, ha girato a piede libero un uomo in impermeabile e sotto nudo che inquietava le ragazze e le molestava, quindi in quei giorni le ragazze venivano sempre con noi, e se dovevano fare qualsiasi cosa le accompagnavamo. Poi questo è stato arrestato, per fortuna. In linea di massima situazione tranquilla. A Parigi invece è succeso che un clochard inquietasse le spagnole che erano con me, e mi sono beccato un pugno, però prima che potessi reagire ho visto che arrivava la Polizia, mi sono fermato, e il clochard (dopo una bella manciata di manganellate e calci) è stato portato in stazione di Polizia. Ma oltre questo, tranquillo.

Vita notturna parigina. Allora i locali ci sono, e sono anche incredibili alcuni di questi. Però i francesi amano piuttosto fare festini intimi a base di alcol, droga, limoni e (raramente) sesso, in casa. Quindi entrare nel giro giusto ti permette di fare bellavita insomma. L’università inoltre organizzava 2 volte al mese feste a tema. Di queste feste, l’unica cosa che mi ricordo chiaramente è la gente che strisciava per terra, dopo aver bevuto ad un open bar pessimo fatto di whisky&cola e vodka&orange, il peggio. Come locali parigini invece i più belli sono Showcase, una sorta di caverna sotto il famoso ponte Alexandre III, con musica techno e elettronica, FIGHISSIMO, forse il più bel locale che abbia mai visto nella mia vita. Costo 20€. Poi La Machine duMoulin Rouge, locale accanto al famoso locale di burlesque Moulin Rouge, dove ho ascoltato i Crookers a 10€, onestissimo. Infine un altro ancora di quelli a pagamento (ma potrei continuare ancora, ce ne sono tantissimi), è quello accanto all’Opera, il Teatro di Parigi. Entrata gratis, drink card a 10€. Dicevo “quelli a pagamento” perché poi noi in realtà andavamo a tutti gli Erasmus Party, rigorosamente aggratis. Il giovedì era la serata migliore, al “Mix”, vicinoMontparnasseBienvenue”: figa multietnica, limoni durissimi, e scopate azzardatissime nei bagni. Un’orgia insomma. Attenzione, non voglio che passi il messaggio che io sia un pervertito, perché non lo sono, ma ammetto che lì dentro un po’ tutti ci trasformavamo. Allucinante!

Specifica se sei mai stato oggetto di offese di tipo “razzista” motivate dalle tue origini meridionali (se vivi nel nord- Italia) o dalle tue origini italiane (se vivi all’estero).
Integrazione. Noi italiani non abbiamo problemi in questo. Non offese, ma magari prese per il culo, questo si. “Pizza Margherita” “Pasta” “Mafia” erano le parole più in voga. Io onestamente ho messo in chiaro le cose, non subitissimo anche per riuscire un minimo ad integrarmi, e proprio una sera quando abbiamo avuto una cena con tutti gli internationalstudents un picciotto danese, Vincent, dopo aver detto “voi avete la Mafia” in perfetto italiano, io gli ho risposto in inglese (forse un po’ sgarbatamente) che tutti quelli che dicevano una cosa del genere erano dei coglioni e che io mi sentivo molto offeso. Da quel momento mi hanno rispettato e trattato benissimo, senza fare più battute. Sostanzialmente gli stranieri che ragionano per stereotipi e sfottono sono quelli che in realtà sono poveri culturalmente, e non avendo argomenti (dovendosi sentire fighi) sparano a zero. Non vale per tutti questo discorso, solo per alcuni, specialmente nord europei.
Sottolinea i più importanti aspetti circa il costo della vita nella tua città “fuori-sede”.

I difetti: costi della vita. Trasporti cari. Mangiare e uscire nella media. Al mese avevo 350€/mese per uscire. Quindi locali non potevo farne molti, altrimenti dovevo digiunare (scelta rispettabile comunque).

Onestamente, appena finito l’erasmus, ho avuto un periodo di “in down” incredibile: lo shock di ritornare a Palermo per le vacanze di Natale e restare a casa per studiare le materie di Gennaio mi ha fatto impazzire. Non è stato un mese facile, assolutamente. Volevo ritornare a Parigi, il ricordo era ancora troppo fresco e non si cancellava facilmente. Ogni cosa che facevo, sbagliando lo ammetto, la mettevo a paragone con quella fatta a Parigi. Quello che mi mancava in maniera particolare era il potere confrontarmi con gente da tutto il mondo, scoprire il loro modo di pensare, la loro cultura. Mi stava strettina Palermo in questo senso, dove ahimè la piattezza giovanile è veramente clamorosa. Sarò cinico e disonesto, ma per come stanno le cose, non c’è molto futuro per alcuni di Noi giovani, per lo meno quelli che non hanno capito che una birra in meno al Whisky e un’ora di studio in più sarebbe più produttivo, quelli che non provano a ideare qualcosa di innovativo, a differenziarsi, a distinguersi. Beh, Palermo è ancora un po’ indietro in questo senso.
La mia svolta l’ho avuta quando sono ritornato a Milano; lì si che ho ristabilito la mia pace interiore. Io in realtà non amo così tanto Milano, anzi per niente. Però scegliere di vivere a Palermo, adesso a 21 anni, con tutte le negatività precedentemente elencate, sarebbe controproducente per uno come me che, pur amando Palermo fino al midollo, vuole ritornarci formato e con un bagaglio culturale-esperienziale originale, “diverso”.

In realtà con le tecnologie che ci sono ora, tra facetime skype e internet, sono rimasto sempre aggiornato sulla vita palermitana. Palermo mi manca sempre, però è sempre un’amore-odio, ed è forse più il ricordo dei bei momenti passati e l’attesa di ritornare in città per poter provare a riviverli che mi fa amare Palermo ancora di più. Le aspettative vengono in parte ridimensionate una volta atterrati a Falcone e Borsellino, vedendo il traffico della città, la sporcizia, la maleducazione della gente. Ma io sono fiducioso, Noi possiamo cambiarla questa città, bisogna solo impegnarsi per migliorarla, anche con piccoli gesti. Io personalmente, sogno di ritornarci e contribuire al cambiamento.

L’esperienza Erasmus la consiglierei a chiunque, anche ai più timidi e timorosi. È una tappa fondamentale a mio parere per maturare e crescere. Conoscere culture differenti e posti diversi allarga gli orizzonti della mente umana, allena il rispetto per gli altri, migliora le tue capacità linguistiche. Insomma, solo cose positive. Parigi poi, città dell’amore, è sicuramente una meta che indicherei, emozioni che si susseguono, ora dopo ora, al solo mettere piedi nei grandi boulevards o a mirare la maestosità della tour effeil. Senza parole.

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